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Gran Bollito Misto
l’anima opulente del Piemonte
Tanto la Bagna Cauda nacque come piatto povero, rustico e campagnolo,
tanto il Bollito Misto divenne simbolo di opulenza e tavole da gran signori.
La carne, si sa, in molte culture è un ingrediente prezioso, da sempre collegato alla ricchezza materiale. È forse un caso che la Quaresima – tempo di penitenza per eccellenza – abolisca i piaceri della carne? O che in moltissime civiltà esistano i «giorni di magro» in cui il consumo di carne è fortemente sconsigliato?
Così il Bollito Misto Piemontese rappresenta il non plus ultra del pasto conviviale, anzi un pasto completo dalla A alla Z per il quale, a volte, si facevano le ore piccole. Magistrale, in questo senso, la descrizione della cena che appare nel romanzo di Giovanni Arpino, L’ombra delle colline. Seduti a tavola, i commensali del nonno del giovane protagonista mangiano il Bollito in «scodelle fiorite» dalla sera «fino al caffelatte del mattino». Una scena pantagruelica che si conclude in un’apocalisse di piatti in disordine con i cibi mezzi smangiucchiati, a cui qualcuno presta ancora un cucchiaio per un ultimo avanzo di «vitello tonnato» o «un raviolo ormai freddo».
Il Bollito Piemontese è davvero un’esperienza adatta a degustazioni lunghe e lente, inframmezzate da chiacchiere (molte) e bevute (altrettante). Meno “potente” della Bagna Cauda, più digeribile del Fritto Misto, molto più vario della polenta, in Piemonte si è guadagnato il titolo nobiliare di «Gran» Bollito Misto.
La ricetta originale è stata addirittura codificata nel libro di Giovanni Vailardi Cucina borghese, pubblicato nel 1887, dove viene chiamato «Bollito storico risorgimentale». Piaceva alle persone che contavano, come il conte di Cavour, il cui nome è indissolubilmente legato al ristorante Del Cambio, stellato di Torino. Ma era adorato anche dal futuro Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, che si racconta lo preferisse a qualsiasi manicaretto di corte. Giudicava infatti la cucina reale «noiosissima», inflazionata da «cattivi brodetti magri e speziati, alla maniera della corte di Vienna».
Dunque, il Gran Bollito Misto era – ed è tuttora – un piatto virile, per sapore e quantità. La ricetta originale, a leggerla d’un fiato, fa quasi spavento. Sette tagli di carne (scaramella, punta di petto, fiocco di punta, cappello da prete, noce, tenerone, culatta), sette frattaglie (gallina, testina, zampino, lingua, lonza, coda, cotechino), un servizio completo di verdure (costituito da cipolline, zucchine, finocchi passati al burro; patate, rape, carote e verze lesse) e una pioggia di salse, tra le quali non devono mancare la salsa verde (bagnèt verd), la salsa di pomodoro e acciughe (bagna ‘d l’infern), la salsa con senape, la mostarda d’uva e la salsa «delle api» (composta da miele, noci, brodo e senape in polvere).
Il bollito misto tradizionale prevede sette tagli diversi di carne
Una tale quantità di carni e accompagnamenti prevedeva una certa fibra. La gran mangiata di Bollito veniva, difatti, accompagnata da alcune raccomandazioni, come si legge nel libro A tavola con il Gran Bollito Piemontese: «Il commensale si presenti ben vuoto, riposato e ben disposto, non faccia calcoli di tempo e men che meno di calorie. Utilizzi un coltello affilatissimo e due piatti, uno per le sole carni e uno per i bagnetti e contorni di verdura. Non si mischino i bagnetti, non si beva acqua (per carità!) specie in principio, si morda piccolo nel pane e grosso nella carne, è un mangiare da signori!».
Un mangiare da signori (e da orchi, verrebbe da scherzare) che oggi è stato addomesticato per i delicati stomaci contemporanei. I quali si contentano di assaggiare alcune parti della carne di manzo, lasciano le frattaglie e si deliziano con alcune delle salse tipiche piemontesi a cui è stato diligentemente asportato l’aglio. Eppure, anche nella sua versione «soft», il Gran Bollito Misto non perde il suo carattere di esperienza, quell’aura di opulenza e di gran mangiare che mette tutti d’accordo e crea un clima di euforia.
Una gioia di stare insieme che viene riproposta, di anno in anno, nelle settimane centrali di dicembre, da una delle manifestazioni gastronomiche più importanti del Piemonte. Stiamo parlando della Fiera Internazionale del Bue Grasso di Carrù, dove il Bollito è Re da più di cinque secoli. Qui, avviene una cosa stranissima. Per tutti i giorni della manifestazione, a partire dall’alba al tramonto, i ristoranti della zona servono un solo piatto, a ripetizione: il Gran Bollito Misto nella sua ricetta (il più possibile) originale. La cosa particolare non è il Bollito in sé, ma la schiera di appassionati pronti a sedersi a tavola. I più coraggiosi, infatti, si recano alle prime luci dell’alba di fronte alle serrande dei ristoranti che, verso le 6.00 del mattino, aprono le porte e iniziano a servire brodo caldo e Bollito! Dopo alcune ore di convivialità e parecchie bottiglie di vino, i commensali si alzano e vanno al lavoro, lasciando il posto ai nuovi arrivati.
Immagine storica della Fiera del Bue Grasso di Carrù
P.S.
Nelle indicazioni del libro A tavola con il Gran Bollito ci sono anche gli abbinamenti con i vini. Si comincia con un Roero Arneis Docg e un po’ di pane e acciuga, giusto per aprire lo stomaco; si continua con una Barbera «giovane e vivace» (che può essere ben rappresentata dalla nostra Barbera del Monferrato Doc Duchessa Lia); per poi finire con una Barbera (sempre lei) «ferma e forte», ovvero affinata. E anche qui, ci sentiamo di consigliarvi la nostra Galanera, Barbera d’Asti Docg Superiore che invecchia in legno per almeno 14 mesi acquistando la forza e l’eleganza di accompagnare il Gran Bollito Misto in tutta la sua magniloquenza.