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Pierflavio Gallina, «vivere la vite è il mio colore fondamentale».
«Ogni giorno è un miracolo senza tempo, sotto il sole».
Non c’è miglior verso di Cesare Pavese per cogliere, in un solo tratto, l’arte di Pierflavio Gallina, pittore nato a Santo Stefano Belbo, cresciuto a Torino e oggi residente a La Morra, dove il suo atelier è anche una guest house per chi vuole soggiornare in uno degli spicchi più suggestivi delle Langhe. «Tutta la mia arte è un tributo alla vita», racconta Gallina, «al paesaggio delle Langhe, alla bellezza che si può – si deve – conservare. È un “grazie” a questa miracolosa terra in cui ho sempre vissuto, che custodisce i miei ricordi più felici: il sole sui pampini, la neve tra i filari, la luna che brilla sopra le colline».
Classe 1948, Gallina ha fatto dei vigneti di Langa il motivo dominante della sua pittura, memoria di uno stupore che il pittore ha il dovere di salvare e consegnare ai posteri nel tentativo di spiegare «l’amore violento e appassionato» con la terra di Pavese e Fenoglio. I cui versi, spesso, compaiono come didascalia dei suoi quadri, ispirazioni poetiche che si fanno poesia pittorica, immagini che visualizzano la delicata astrattezza di una parola.
Da vero amante della sua terra, Pierflavio Gallina è diventato ambasciatore delle Langhe nel mondo. Le sue opere sono state acquistate dalla GAM di Torino, hanno raggiunto New York e sono state protagoniste in Napa Valley, accolte dal produttore Robert Mondavi nella sua winery californiana.
Pierflavio Gallina, come mai le Langhe sono diventate il suo soggetto principale?
Sono nato a Santo Stefano Belbo, nel dopoguerra. I miei nonni avevano una cascina a San Grato e undici figli da sfamare. Erano tempi duri. Dopo 10 anni di grandine, mio padre decise di emigrare a Torino per cercare lavoro. È lì che sono cresciuto. Ma i mesi estivi li passavo sempre a Santo Stefano Belbo, a casa degli zii. Ricordo quei momenti come i più felici della mia vita. I buoi, il grano, il cavallo, la vita nei campi: mi sentivo grande, potevo prendere la bicicletta “da uomo” e andare a fare compere in paese. E c’erano le vigne, tutt’attorno. Si stava tutto il giorno nelle vigne a lavorare, insieme: una simbiosi con la natura che non ho mai sperimentato in modo così autentico. È a quel periodo che devo il mio innamoramento al paesaggio vitato delle Langhe, che non mi ha più abbandonato ed è sempre stato fonte d’ispirazione.
Quando ha deciso di diventare pittore?
Ricordo che a Torino, nel 1965, visitai la Galleria Civica d’Arte Moderna. C’era una mostra con opere di Graham Sutherland. Fu una folgorazione. Le metamorfosi dei paesaggi e i simboli di Sutherland, in particolare, mi fecero capire che volevo fare il pittore, volevo esprimermi attraverso l’arte.
Fin dai suoi esordi, la vite compare già come soggetto centrale dei quadri.
Nei miei primi lavori, più astratti e simbolici dei paesaggi odierni, la vite subisce una trasfigurazione. Diventa un soggetto vivo, una persona, icona delle nostre esistenze che si arrampicano e si modificano nel tempo e nello spazio. Vivere la vite, d’altra parte, è una condizione che ho sempre sperimentato con un certo trasporto, da bambino e ancora oggi, quando mi sveglio tra i vigneti di La Morra. Nell’immagine della vite, rigogliosa ma un po’ tormentata, c’è tutta la fatica e la meraviglia del nostro territorio.
Uno dei temi della comunicazione di Duchessa Lia, quest’anno, è legato ai colori dell’Astigiano, del Roero e Monferrato, delle Langhe. Se dovesse sceglierne uno, quale suggerirebbe?
I colori delle nostre colline sono tinte primarie. Il blu scuro di un cielo notturno, il rosso del sole infuocato, il giallo della luna che brilla sulle colline innevate. Sono colori in forte contrasto, che io rappresento anche con la tecnica delle incisioni, geometrie di bianco e di nero. Ogni tanto, però, questi colori violenti e puri sfumano nella nebbia e nelle brume, si fanno misteriosi e velati. Mi piace questo contrasto, basta un colore primario per fare un quadro. Come nei versi di Pavese: «Chissà il solco di luna che cosa schiarisce col suo lume dolce, nei boschi remoti»; oppure: «Dove sei tu, luce, è il mattino». Una sola immagine, un’ispirazione forte e vivida, un solo colore sono sufficienti per creare in me la voglia di dipingere un paesaggio.